DA ‘COMPRENSIONE
DELL’ESSERE’
di Alberto
Re
AVVERTENZA
Ad un lettore
attento ed informato non sfuggirà che le mie annotazioni sono in larga misura
ispirate dalla filosofia di Emanuele Severino. Se il cuore della filosofia è la
ricerca della verità, allora Emanuele Severino, se non il solo, è certamente
tra i pochi che continuano a sostenere la centralità della filosofia rispetto
ad ogni altro sapere specialistico, a evidenziare che unicamente dalla
filosofia può venire una critica o una messa in discussione della filosofia
stessa. Ed è ciò che Severino, da la ‘Struttura originaria’ sino a ‘La Gloria’
ed ‘ Oltrepassare’ passando per ‘Essenza del Nichilismo’ e ‘Destino della
Necessità’ (per citare solo alcuni dei testi più significativi) fa. Pur
evidenziando la grandezza della filosofia nel corso della sua storia, riesce a
scorgere in questa grandezza un errore decisivo che ha segnato tutta la cultura
occidentale ed ormai del mondo intero: la fede nel divenire. Egli vi
contrappone l’eternità di ogni essente, dal più effimero al più elevato.
L’eternità del tutto è nel destino della necessità. In questo nesso
indissolubile ed incontrovertibile sta la verità, che parla all’uomo della sua
Gloria e della sua Gioia.
Fatta questa
doverosa avvertenza, va anche detto che ‘Comprensione dell’essere’ non è un
trattato critico del pensiero di Severino, ma ha una sua ‘autonomia originale’
, volendo essere un contributo modesto e
tuttavia seriamente impegnato a seguire
la strada che porti ad una ‘Filosofia Futura’.
L'ESSERE (1° parte)
Dai primordi della
filosofia, prioritaria e fondamentale è sempre stata l’interrogazione
sull’essere.
D’altro canto si
deve dire che la filosofia è essenzialmente filosofia dell’essere.
Ma nonostante che il
problema sia stato sviscerato in tutti i suoi aspetti e da ogni lato, esso
rimane tuttora insoluto.
E’ che l’essere
sfugge a qualsiasi tentativo di oggettivazione. Esso non è percepito
direttamente ma solo attraverso la presenza dell’ente, del ciò che è, della
determinazione del qualcosa. Avviene che il fondamento esistenziale che rende
possibile la determinazione del qualcosa rimane nascosto alla vista di
quell’ente particolare (perché l’unico dotato di pensiero) che è l’uomo. Da
parte dell’uomo c’è insomma visione della molteplicità delle cose che appaiono
ma non della causa che rende possibile il loro apparire.
La luce che avvolge
ogni singola esistenza e che è all’origine del proprio apparire si nega dunque
alla percezione sensoriale dell’uomo. Questa luce che la ragione intuisce
essere lo sfondo necessario per l’apparire di ogni cosa, non appare.
Una differenza
ontologica che è carica di profonde conseguenze. La prima delle quali induce a
pensare l’essere come pura entità metafisica, che è cioè al di là ed altro
rispetto alla molteplicità degli enti. Di
qui alla confusione dell’essere con il nulla il passo è breve così come lunga è
la strada che contrassegna la storia della filosofia come storia del
nichilismo.
Non che in tutti i
grandi pensatori non sia ben chiara la netta opposizione tra l’essere ed il
nulla. Il nichilismo non arriva mai alla negazione del reale. Ciò che rende
possibile il nichilismo è la speculazione di segno negativo su ciò che, non
apparendo, costituisce tuttavia la radice di tutta la realtà. Che esista una
radice comune per ogni manifestazione del reale è parimenti compreso da tutti i
grandi filosofi, per i quali ogni cosa non può originarsi da sé come fosse il
risultato del tocco di una bacchetta magica, ma è in relazione alla
universalità di ogni altra cosa, presente, passata e futura. Tuttavia
l’impossibilità di avere esperienza dell’essere come la si ha di ogni ente
particolare porta alla sua definizione come non-ente. Il ni-ente e l’essere,
nonostante ogni ragione e volontà contraria, diventano la stessa cosa. Ed è
questa sensazione, più profonda dell’inconscio studiato dalla psicoanalisi, che
investe la vita del mondo che viviamo. E che è all’origine dello stato di
conflitto permanente, dell’angoscia, della paura, del dolore. Della follia.
C’è evidentemente un
errore che precede la natura stessa del pensiero umano, iscrivendosi nel
destino stesso dell’essere. Quel destino che informa il tempo dell’uomo (la sua
storia come la sua preistoria) portando con sé il segno di una verità che non
può o non vuole mostrarsi nella sua totalità, nascondendosi invece dietro
l’oblio di ciò che la costituisce, ovvero dell’essere.
D’altro canto il senso che
conferiamo all’essere non appartiene ad uno dei cinque sensi attraverso i quali
noi possiamo percepire la realtà e che costituiscono i mezzi attraverso i quali
si dà la conoscenza. E che rappresentano altresì l’a-priori necessario perché
si possa dare forma alle stesse idee, che proprio perché superano la
materialità soggetta al riconoscimento dei sensi, dai sensi trovano il proprio
alimento per la produzione di ciò che è astratto. L’astrazione intellettiva per
essere oggetto di conoscenza non può dunque porsi prescindendo dalla realtà
sensoriale o addirittura prefigurando il proprio risultato a partire dal
cosciente disconoscimento dell'apporto dei sensi. Una siffatta formulazione
metafisica riuscirà al meglio a sconfinare in un vuoto misticismo che ha come sua
caratteristica quella di non avere alcun rapporto con nessun oggetto o forma
eidetica. Per il misticismo il tutto è il nulla ed il nulla è il tutto.
Calandosi il pensiero in questa prospettiva, è chiaro che le idee sull’essere
che sono andate via via prospettandosi non sono riuscite a dire nulla sulla
realtà dell’essere stesso. Hanno prodotto anzi intorno al problema dell’essere
un alone di mistero che non ha ragione alcuna di persistere. Ma che ha
contribuito largamente a determinare l’errore fondamentale di una identità tra
l’essere ed il nulla che è la causa principale della vita alienata
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