lunedì 2 luglio 2007

DIO ESISTE?

Un tema non di poco conto. Quanti grandi pensatori vi si sono cementati, quanti volumi sono stati scritti? Possiamo anche dire che il pensiero sulla esistenza di Dio abbia attraversato la mente di tutti gli uomini, in ogni epoca.

Ma l'epoca che viviamo, a mio parere, segna una svolta. Appare in un numero sempre maggiore di persone una sorta di vivida percezione e piena consapevolezza che l'esistenza di Dio sia stata semplicemente il frutto di una 'invenzione' e come tale compresa ed archiviata.

Dunque Dio non è mai esistito e mai esisterà.

giovedì 21 giugno 2007

QUALE ETICA PER QUALE ECONOMIA

QUALE ETICA PER QUALE ECONOMIA

L’etica, in filosofia, è lo studio della morale. Con l’obiettivo di conformare il comportamento dell’uomo a ciò che è giusto e bene per sé e per la comunità in cui vive. Occorre dunque primariamente conoscere ciò che è giusto e bene per poter seguire un corretto comportamento etico.
Uno studio ed una analisi di cui possiamo avere le più antiche testimonianze scritte con il pronunciamento dei filosofi presocratici e con quanto ci è stato tramandato dalla saggezza orientale con i Veda, ma che con ogni probabilità hanno avuto inizio al primo formarsi di un nucleo di società organizzata. La coesistenza degli individui anche in gruppi molto ristretti comporta che vi siano linee di condotta comuni e condivise, tali in prima istanza da consentire la permanenza nel tempo della stessa coesistenza. Dobbiamo dunque presumere che già nella preistoria dell’uomo esistessero principi che oggi definiamo etici. Ma ciò che interessa il tema proposto sulla relazione tra etica ed economia non può riguardare problemi di natura prevalentemente antropologica, ma deve partire dal momento storico in cui l’etica diventa vera e propria scienza. E questo avviene con la nascita della filosofia.
Che, quali siano state le scuole di pensiero in cui si è subito distinta, ha univocamente ed immediatamente cercato di chiarire i concetti di ‘giusto’ e di ‘bene’, liberandoli dalle interpretazioni mitiche e troppo volubili, per conferire loro un significato chiaro e definitivo: quel significato che poteva venire solo dall’episteme, ovvero da un sapere incontrovertibile in quanto fondato sulla verità.
Almeno questi sono stati sin dall’inizio i propositi della filosofia morale. Che siano stati mantenuti, rimane un problema aperto. Specie nel tempo che viviamo, dove domina l’economia ed il denaro è diventato, al di là del suo valore intrinseco, il metro di giudizio per ciò che è bene e per ciò che è male. Un pensiero ormai largamente diffuso anche tra le masse popolari che vuole che solo dove vi sia una economia funzionante lì vi sia la concreta possibilità di una vita degna di essere vissuta.
In quel luogo cioè dove la soluzione dei bisogni primari e materiali apre la prospettiva concreta di una vita spiritualmente più elevata e per ciò stesso più felice.
Il più delle volte inconsapevolmente, ma indubitabilmente, l’uomo contemporaneo tende a sostituire al curatore delle anime (filosofo o sacerdote che sia) chi sappia produrre ricchezza(imprenditore).
Ancora un po’ confusamente, ma sempre più decisamente, viene chiesto all’economia ed all’apparato tecnologico che la sostiene ciò che né la metafisica né la religione hanno saputo dare: il paradiso sulla terra.
Le aspettative che suscita l’economia fanno sì che si operi quasi un capovolgimento dei principi classici dell’etica. Questi stessi principi sono addirittura assunti entro quella dimensione economica che costituisce l’interpretazione prevalente del mondo.
Il denaro come fine principale dell’attività umana, che già con Aristotele rappresentava la negazione dei principi basilari dell’etica, si assume ora come ‘bene in sé’, come un qualcosa che per essere in potenza capace di dare felicità o almeno benessere all’uomo non è in contrasto con il fine principale dell’etica, che è appunto quello di permettere all’uomo una vita felice.
Il denaro non solo non è più ‘la serpe del mondo’, il veicolo attraverso il quale Satana domina la terra, come insegnava Gesù Cristo, ma surrettiziamente diventa ‘etico’, almeno per quanto riguarda la virtuale maggior efficacia nel raggiungimento dei fini dell’etica classica.
Concetti quali l’evangelico ‘non fare agli altri ciò che non vuoi che sia fatto a te stesso’ o il kantiano e laico ‘considera l’uomo come fine e non come mezzo’, rimangono sullo sfondo. Tutt’al più sono considerati a guisa di gradevoli proposizioni poetiche.
Ma se dai comportamenti concreti e quotidiani dell’uomo occidentale l’economia ha inglobato in sé l’etica, parlare di un rapporto tra economia ed etica non avrebbe più senso. Perché ciò che diventa importante è esclusivamente un agire individuale e collettivo che sia finalizzato ad un incremento e ad una sempre più estesa diffusione dell’economia. Il mercato diventa il regolatore principale, se non unico, dei rapporti tra le persone, costituendosi di fatto quale primaria fonte del diritto e della morale.
Quel detto popolare che suona pressappoco così: ‘soldi ed amici rompono la testa alla giustizia’, non è avvertito più come uno scandalo, ma in una sua versione più edulcorata e sofisticata, è assunto quale normale regola di vita sociale. Per un grande numero di persone è ormai accettato il criterio che chi ha più soldi detta la legge. Le ‘ragioni’ dell’economia prevalgono a questo punto su qualsiasi altra ragione. E, partendo dall’Occidente, sono ormai diffuse per l’intero globo terrestre. Dando origine a quel fenomeno che viene chiamato ‘globalizzazione’. Termine che nella sua iniziale accezione si riferisce alla uniformità dei modelli di produzione e di scambio economici, ma che a seguito del processo totalizzante prodotto dall’economia, è pervenuto ad indicare un generale ed indifferenziato sistema di vita, comprensivo dei valori etici e morali.
Vero è che cresce una imponente opposizione a questo stato di cose. Il problema è quanto possa fare una opposizione che allo strapotere dell’economia e della tecnica contrapponga valori di un vago ‘umanesimo’, fatto di un ‘pacifismo’ inerte e di un ‘ecologismo’ ingenuo. Se nelle intenzioni è meritoria la riproposizione di una responsabilità etica individuale, se è meritorio il richiamo all’imperativo categorico kantiano, se parimenti è meritoria una risposta basata sul solidarismo e sull’altruismo, in pratica tutto questo insieme di comportamenti è largamente insufficiente allo scopo di eliminare o perlomeno limitare il predominio della tecnica e della scienza, che oggi assume la forma della egemonia economica.
Il tema oggetto di discussione, ovvero il rapporto tra economia ed etica, non è in ogni caso superato. Esso si presenta, anzi, più attuale e stringente che mai. Occorre però preventivamente chiarire di quale economia e di quale etica si voglia discutere. Dagli interventi che si sono succeduti nel corso del convegno, tutti di grande spessore culturale e animati da una ricca spiritualità (e non poteva essere altrimenti visto l’autorevolezza dei partecipanti), si è però accennato all’economia come se questa fosse l’unica struttura economica da sempre esistente e destinata ad esistere per sempre: immutabile ed eterna. Al termine economia si doveva invece far seguire la qualificazione di ‘capitalista’. Ovvero si doveva tenere presente l’esistenza di una tipologia nei rapporti di produzione che, nella millenaria storia dell’umanità, occupa solo gli ultimi due secoli. La posizione etica si sarebbe così confrontata non in rapporto ad una economia indifferenziata, ma rispetto a quella forma e a quella struttura economica che sono specifiche del capitalismo.
Una precisazione importante perché se, come si diceva poco sopra, la storia dell’economia capitalista è recente, la storia dell’etica e della morale è millenaria.
La formazione dei concetti e dei relativi comportamenti etici ai quali ci si richiama ancora oggi hanno accompagnato la vita dell’uomo anche quando non esisteva una economia di tipo capitalistico: anche quando la stessa economia intesa in termini generali era in posizione subordinata rispetto ad altri valori (a quelli religiosi, ad esempio).
Occorre allora, in via principale, chiedersi se gli antichi valori etici e morali abbiano mantenuto ancora integra la loro validità in questi tempi che vedono la supremazia del capitalismo. Ed è quanto abbiamo sin qui cercato di fare, fornendo una risposta sostanzialmente negativa: le regole del capitalismo sono inconciliabili con i valori etici e morali che l’umanità si è data nel corso della sua storia millenaria.
Si veda, ad esempio, il principio kantiano di valutare l’uomo come fine e non come mezzo: esso è manifestamente contraddetto dal capitalismo, la cui essenza è data dal perseguimento del profitto.
Rispetto a tale fine, ogni altro fine assume una posizione subordinata od accidentale.
L’uomo pertanto può essere benissimo considerato ed usato come mezzo, se ciò serve allo scopo di creare profitto.
Anche senza scomodare Marx, non è difficile vedere come il prestatore d’opera, ossia colui che vende il proprio lavoro, sia di fatto assimilato alla merce che produce. Una valutazione che non dipende dalla buona o cattiva intenzione del proprietario dei mezzi di produzione, ovvero dal singolo imprenditore, ma è strettamente legata e connessa alla natura stessa del capitalismo. Che è tale, ripetiamo, in quanto ha in sé il fine di assicurare il profitto.
Un imprenditore può essere un grande benefattore, può prodigarsi a favore dei più bisognosi, essere una persona pia e timorata di Dio. Ma questa sua propensione d’animo gli appartiene in quanto privato cittadino e non attiene alla sua funzione pubblica di imprenditore. In quanto imprenditore e se tale vuole rimanere, deve agire in modo tale che la propria impresa produca degli utili e dei profitti.
La responsabilità etica dell’imprenditore trova allora il suo limite in ciò che vi è di più antitetico rispetto ai valori etici. La logica del profitto richiede infatti un impiego di forze e di volontà che vanno giocoforza in senso contrario alla affermazione di qualsivoglia principio etico e morale. Di qui il sistema economico attualmente imperante nel mondo, ovvero il sistema capitalistico, non ha in sé, per sua natura ed essenza, nulla di etico. Parlare di responsabilità etica di chi all’interno di tale sistema è il soggetto proprietario dei mezzi di produzione è un puro sofisma o una mera illusione.
E’ dunque fuori luogo dare un giudizio morale alla singola persona fisica che svolge un ruolo imprenditoriale; ad esempio, che questi tratti bene o male i propri dipendenti è circostanza del tutto ininfluente rispetto alla indifferenza e neutralità che caratterizzano il sistema capitalistico. Una indifferenza e neutralità riguardo ad ipotetici ‘valori umani’ che traspare dal linguaggio corrente, che, citando un caso tra i tanti, non riferisce dei prestatori d’opera come ‘persone’, bensì come ‘risorse’.
Alla risorsa data dallo strumento tecnico di produzione, alla risorsa della merce prodotta, si accompagna la risorsa della prestazione del lavoratore: una cosa tra le cose, tutte utili allo scopo di ottenere profitto.
Trattandosi di una economia capitalistica, il rapporto tra etica ed economia potrà allora avere un senso solo quando giungerà al tramonto il sistema capitalistico. Arrivando alla conclusione che nel mondo contemporaneo le forme conosciute dell’etica e della morale non hanno più ragione d’essere.
Una conclusione che, pur essendo in perfetta coerenza con la realtà delle cose, non riesce però ad essere definitiva, stante la permanenza di una forte resistenza culturale, che rimane decisa a sostenere il valore primario dell’etica.
La vigente subordinazione dell’etica nei confronti della tecnica e della economia, il pericolo cui va incontro a causa del tentativo operato dalla tecnica e dalla economia di inglobarla nell’ordine attraverso il quale queste configurano il mondo, non è insomma ancora tale da pregiudicarne la sopravvivenza.
A dispetto del crescente disorientamento provocato nelle masse popolari dal mito del denaro e del successo, e nonostante la manipolazione delle coscienze a causa di una informazione pubblica senza verità, resiste una ferma volontà da parte delle persone più sensibili ed acculturate a conservare l’integrità del proprio patrimonio etico ed ideale. La corruzione operata dalla economia reale (che abbiamo visto fondata sul sistema capitalistico) nei rapporti tra le persone non è ancora diventata tale da intaccare il residuo irriducibile della identità individuale, ciò per cui una persona è una persona.
Non è ancora diventata tale, certo. Tuttavia, perdurando l’attuale sistema economico, è tutt’altro che irragionevole il dubbio che la difesa della identità della persona, la ragione di una irriducibilità dell’individuo ad essere altro da ciò che è possano resistere a lungo, prima che si compia interamente la riduzione dell’umano a cosa tra le cose.
Nell’affrontare il tema del rapporto tra economia ed etica abbiamo da subito evitato di cadere in astrazioni. Per questo abbiamo subito cercato di chiarire che non intendevamo parlare di una economia in generale, ma dell’economia concretamente esistente e prevalente nel mondo di oggi:l’economia capitalistica. Per questo abbiamo accennato che si poteva parlare di etica solo a partire dal momento in cui diventava oggetto di indagine scientifica, ovvero a partire dalla nascita della filosofia.
Su quest’ultimo punto si rendono tuttavia necessarie considerazioni ulteriori. I principi etici accettati su di un fondamento epistemico e, con l’avvento del Cristianesimo, anche sul fondamento della rivelazione Divina, hanno accompagnato la vita dell’uomo per più di due millenni. Il tempo fluiva lento, con la terra e l’uomo al centro dell’universo, e lentamente faceva i suoi passi anche l’economia, che solo in epoche storiche più recenti ha cominciato a conoscere, oltre alla pastorizia e l’agricoltura, l’intrapresa artigianale ed il libero commercio dei manufatti.
Non è datata più di due secoli l’origine di quel fenomeno chiamato industrialismo che costituirà una delle più profonde e grandiose rivoluzioni cui sia andata incontro l’umanità. L’uomo ha già perso la certezza di essere al centro dell’universo e si trova immediatamente catapultato in una realtà che si modifica e trasforma giorno dopo giorno ad una velocità sempre più crescente e mai conosciuta prima. Nel vortice che investe ogni aspetto della vita dell’uomo, vi è soprattutto quello che lo vede mutarsi innanzitutto in ‘produttore di merci ‘. L’attività indirizzata all’accrescimento indefinito della ricchezza assorbe quasi tutto il tempo della vita dell’individuo, lasciando, nel migliore dei casi, un margine ridotto per la cura di se stessi e delle proprie aspirazioni spirituali.
In questo contesto, pur delineato sommariamente ma speriamo con sufficiente chiarezza, i principi etici fondamentali possono ritagliarsi ancora all’interno dell’animo umano un loro proprio spazio? Di fronte all’imperativo di produrre ricchezza, è concesso ancora all’essere umano di poter agire secondo gli antichi principi morali ed etici? Il concetto classico di giusto e di bene come si concilia con il metro di giudizio rappresentato oggi dal denaro?
Se la vita ‘giusta’ è incentrata sul ‘fare’, quale giustificazione hanno la contemplazione e la riflessione? In che modo può farsi valere una ‘responsabilità individuale’ entro un sistema tecnologico-economico che tende ad inglobare tutto al proprio interno? La risposta, implicita, a questi e ad altri possibili affini interrogativi, è di segno negativo. Così come è configurato il mondo contemporaneo, i comportamenti di fatto degli individui costituiscono il modo concreto con il quale vengono messi in discussione i principi etici sino ad ora ritenuti di valore universale. Al di là delle buone intenzioni (di cui, come si suol dire, è lastricato anche l’Inferno), le norme etiche che comportino una qualche rinuncia rispetto ad un utile o beneficio immediato vengono disconosciute e considerate in ogni caso come superate. L’aut-aut di Kierkegard tra una vita estetica ed una vita etica, vede di gran lunga prevalere la preferenza per il primo modello di vita. Che è poi il modello proposto in dosi massicce da tutti i mezzi di comunicazione di massa, i quali, guarda un po’ il caso (!), sono tutti rigorosamente nelle mani del potere economico. E non è a caso dunque, come siamo andati sin qui sostenendo, che le regole dell’etica siano dettate dall’Economia, che ovviamente ne determina la direzione in conformità al proprio interesse.
Va da sé che l’economia, per ottenere i propri scopi, deve apparire culturalmente ed ideologicamente neutrale. Un compito reso ancor più facile alla economia di tipo capitalistico dal crollo del sistema collettivistico sovietico. E’ così che uno specifico modo di produzione attribuisce a se stesso quel carattere generale ed universale che può appartenere solo ad una economia generica, senza aggettivi. E’ così, ad esempio, che il ‘mercato’ non è semplicemente il luogo dove avviene il libero scambio delle merci e delle forze lavoro, ma è trasceso nella dimensione entro la quale si realizza la libertà ‘tout court’ degli individui. L’assunzione di un valore universale al concetto economico di ‘mercato’ rende dunque possibile l’identificazione (errata, ma oggi giorno vincente) di tale concetto con il concetto universale di libertà. La conclusione per cui ‘senza mercato non c’è libertà’, nella sua pretesa assolutezza, viene a porsi quale principio etico da farsi valere erga omnia et erga omnes. Quel che vale per il concetto di libertà, vale naturalmente anche per i concetti di ‘giusto’, di ‘bene’, per la responsabilità individuale e sociale, per il campo dei diritti e dei doveri.
E’ ormai l’economia capitalistica e globalizzata che fissa i parametri per un corretto comportamento sociale, quei parametri che fino a qualche tempo fa erano di competenza dell’etica e della morale.
Di questo occorre tenere conto, quando si intenda studiare il rapporto tra etica ed economia. Ovvero che l’economia così come è realmente strutturata oggi giorno svolge un ruolo predominante ed insieme fuorviante rispetto all’etica così come ci è data da una millenaria riflessione filosofica.
L’impoverimento dei concetti di ‘giusto’ e di ‘bene’ quando riferiti alla realtà dell’ utile e del profitto, lo svilimento della spiritualità nell’uomo quando il valore della persona è interamente ricondotto al suo ‘fare’, la semplificazione ‘consumistica’ del ruolo del cittadino nello Stato, tutto questo concorre alla formazione di un’etica nell’economia che ha poco o nulla a che vedere con la natura vera dell’etica, il cui fondamento vero e naturale è da ricercare unicamente, come si è già accennato, nel pensiero filosofico.
In conclusione, le cose sono due: o teniamo ferma l’etica classica così che dobbiamo affermare la sua incompatibilità con l’economia; o teniamo per buono il sistema economico attuale così che l’etica appare come un sistema di valori superato ed inefficace.
In entrambi i casi, qualsiasi rapporto tra etica ed economia apre il campo ad una catena di contraddizioni. E’ fonte di illusioni (se è il moralista che parla) o è causa di risultati inconcludenti (se il punto di vista è quello dell’economista).