LA TEORIA DIALETTICA DEL SIGNIFICATO
Nel libro "La struttura originaria" (1958), Severino espone la
struttura della
verità del Tutto mediante una riforma della
dialettica hegeliana. Il "significato originario", cioè l'
essente che è ambito di
significato di ogni
significato, è costituito da una molteplicità di essenti, ma essendo ogni
essente (e dunque anche le parti della molteplicità) "fondato" su tale molteplicità, quest'ultima non può che valere solo nella sua interezza e non per le singole parti. La molteplicità è cioè strutturata, ogni parte è se stessa in quanto è in relazione da sempre alle altre e all'intera
struttura e viceversa. Nonostante che il dettato hegeliano esprima la
verità come
verità dell'intero, la
dialettica del
filosofo tedesco non riesce a costituirsi come
costante fondamentale di ogni
significato perché si pone come una teoria diveniente del
significato stesso. Infatti, anche nelle dimensioni dell'
essente che sono salve dal
divenire temporale (tipicamente tutto il regno della "
logica" e dell'"
astratto", e cioè in sostanza tutto ciò che esula dalla dimensione della
sensibilità), si produce un
divenire "logico" in cui a concetti "passati" seguono concetti "futuri" che oltrepassano e conservano i primi. In tal modo, nel
sistema hegeliano non vi è mai una dimensione realmente originaria che sia costante di ogni
significato, tutto è in
divenire verso la concretizzazione (innanzitutto "logica") di quel
Senso che dovrebbe precedere ogni altro. Severino porta a compimento la critica che
Hegel rivolgeva a
Schelling sulla
determinatezza del
significato originario, mostrando che tale
determinatezza non può che essere originaria solo se esclude di poter essere oltrepassata.
L'ETERNITA' DI TUTTI GLI ESSENTI
Severino affronta l'antico problema radicalizzato da
Platone e
Aristotele e ripreso poi in epoca moderna da
Heidegger: il problema dell'essere. Per Severino, tutte le filosofie costituitesi precedentemente sono caratterizzate da un errore di fondo: la fede nel senso greco del divenire. Sin dagli antichi greci infatti, un ente (ovvero un qualcosa che è) viene considerato come proveniente dal nulla, dotato temporaneamente di esistenza e successivamente ritornante nel nulla.
Rifacendosi al pensiero di
Parmenide, Severino riflette sull'opposizione assoluta tra essere e non-essere. Dato che tra i due termini non vi è nulla in comune, l'essere non può che rimanere costantemente uguale a se stesso, evitando di rimanere alterato dall'altro da sé. Anzi, essendo l'essere la totalità di ciò che esiste, non può esserci altro al di fuori di esso dotato di esistenza (Severino rifiuta quindi il concetto di
differenza ontologica così come è stato avanzato da Heidegger). Per Severino, quindi, tutta la storia della filosofia è basata sull'errata convinzione che l'essere possa diventare un nulla.
Ma mentre Parmenide tentava di risolvere il conflitto tra il divenire e l'immutabilità dell'essere affermando l'illusorietà del divenire (negando l’esistenza delle cose del mondo e cadendo quindi in un'
aporia), Severino sceglie una via differente, portando il suo pensiero a delle tesi estreme.
Dato che l'essere è, e non può mai diventare un nulla, ogni essente è eterno. Ogni cosa, ogni pensiero , ogni attimo sono eterni. Il divenire temporale non può quindi che rappresentare l'apparire successivo degli eterni stati dell'essere, così come i fotogrammi di una pellicola si susseguono sino a formare lo svolgimento completo di un film. Gli enti entrano ed escono da quello che Severino chiama cerchio dell'apparire. Ciò significa che quando un ente esce dal cerchio dell'apparire non diviene un nulla, ma si sottrae semplicemente alla vista: dunque, le cose esistono anche quando scompaiono ovvero non si vedono ("vedere senza vedere", dice Donato Sperduto in una tragicommedia sul pensiero severiniano).
DIMOSTRAZIONE DELL'ETERNITA' DI TUTTI GLI ESSENTI
La dimostrazione severiniana dell'eternità di tutti gli essenti, si basa sostanzialmente sul
principio di non contraddizione, ma non nella versione che ne dà, nel Liber de Interpretatione,
Aristotele. In essa anzi "il discorso del tramonto del senso dell'essere...trova la sua formulazione più rigorosa e più esplicita"
[2].
Bisogna invece "ritornare a Parmenide", correggerne - con Platone - l'esito aporetico, dimostrando che l'evidenza fenomenica non è in contrasto col
principio di non contraddizione, ma scoprendo anche che il divenire così come Platone lo pensa, come uscire dal nulla e ritornare nel nulla, non appare affatto, non è affatto evidente.
Di qui si potrà proseguire su una via (quella indicata da Parmenide, il "sentiero del giorno") ben diversa da quella imboccata con Platone dal pensiero occidentale.
Consideriamo la proposizione parmenidea: "...è infatti l'essere, il nulla non è" : tale proposizione esprime l'opposizione assoluta tra i termini essere e non essere; pertanto ogni essente è assolutamente opposto al nulla e non ci può essere né un tempo né uno stato in cui un ente non sia, come pensa invece il
principio di non contraddizione aristotelico: "è necessario che l'essere sia, quando è, e che il non-essere non sia, quando non è". Quest'enunciato esprime il pensiero di un tempo, una condizione, in cui l'ente è nulla, in cui essere=nulla. Questa impossibile ed impensabile contraddizione costituisce la "follia essenziale" in cui cresce e sta, senza esserne consapevole, tutto il pensiero occidentale.
Infatti il pensiero occidentale pensa sì, consapevolmente, l'ente come essere, ma insieme come diveniente (pensa cioè che esca dal nulla e ritorni nel nulla). Ad esso sfugge invece che ciò equivale a pensare l'ente come nulla; e questo è il nichilismo più proprio, la follia che si annida nell'inconscio della filosofia, della scienza e della tecnica.
LA DIFFERENZA ONTOLOGICA
Per Heidegger, l'essere non è un ente tra gli enti. Esso rappresenta piuttosto l'apparire ontologico degli enti, e per questo motivo viene definito un transcendens rispetto all'ente. Severino rigetta la concezione heiddegeriana, affermando che la totalità dell'essere è costituita dalla totalità degli enti. La vera differenza ontologica è quindi per Severino quella che si costituisce tra l'essere (l'ente) diveniente e quello immutabile.
L'essere che appare e scompare non è lo stesso essere immutabile, ma è anch'esso eterno. Entrambi esistono, ma in differenti dimensioni. L'essere come fondamento è una struttura eterna e non soggetta ad alcun mutamento.
Tutto è avvolto (momentaneamente) dal nichilismo
Un po’ tutti i filosofi che l’hanno avuto sottomano, hanno inteso il nichilismo come allontanamento dalla verità, e l’hanno dunque declinato a seconda dell’idea di verità a cui stavano pensando. Nella prospettiva severiniana dell’eternità di tutte le cose, il nichilismo è dunque il credere che le cose siano mortali, ovvero che l’essere possa non essere, ed uscire e rientrare nel nulla. Se ogni essere può essere prodotto o annientato, allora questo è il principio della potenza estrema, perché è estrema la distanza da coprire tra l’essere e il nulla. Questo pensa tutta la cultura occidentale fin dai suoi esordi nella Grecia antica dei primi filosofi, e questo pensa ormai tutto il pianeta. Più esattamente, è dell’essenza della cultura occidentale che oggi tutti i popoli si nutrono, perché ritenendo indispensabile il potenziamento della tecnologia, devono rifarsi ai concetti fondamentali di quella particolare cultura che fin dagli inizi ha più radicalmente pensato concetti come potenza, creazione, distruzione, essere, nulla, energia, verità, errore, ecc. L’Occidente non domina casualmente il mondo, o perché ha una possibilità offensiva superiore; ma, al contrario, ha una possibilità offensiva superiore perché domina il mondo che crede nelle sue stesse imprescindibili idee guida (scienza, potenza, tecnica, salvezza, ecc.) e quindi in una cultura che ritiene più avanzata – e dove dunque l’avanzamento non è una virtù morale, ma la capacità di capire e fare più cose per sopravvivere all’imprevedibilità dell’esistenza.
Nichilismo, morte e destino
Severino ritiene che la filosofia abbia sempre cercato riparo contro il terrore che scaturisce dall'imprevedibilità dell'esistenza perché innanzitutto si è sempre creduto nell'evidenza del divenire degli enti, del loro uscire dal nulla e rientrarvi. Anche le grandi forme di
episteme come quelle di
Aristotele ed
Hegel, che tendono a dare un ordine ed una configurazione prestabiliti all'esistenza, si muovono sullo stesso terreno.
L'intera storia dell'Occidente è quindi per Severino storia del
nichilismo. La radicale distruzione dell'episteme operata da parte della filosofia contemporanea, e la rapida ascesa della scienza moderna ai vertici del sapere sono conseguenze inevitabili di questa forma di pensiero (la civiltà della tecnica è infatti la forma estrema di
volontà di potenza). Secondo la logica severiniana, tutto ciò che appare, appare in maniera necessaria ed il progressivo manifestarsi degli eterni non segue quindi un ordine casuale. Ciò significa che la libertà dell'uomo non esiste, ma appare all'interno di quell'essente (anch'esso eterno) che è il nichilismo dell'Occidente. Ed è proprio all'interno dell'Occidente che appare il mortale come noi lo conosciamo.
Ma per Severino, l'Occidente è destinato al tramonto, per fare spazio al Destino della verità, la verità che testimonia la follia della fede nel divenire. Solo all'interno del Destino della verità la morte acquista un significato inaudito: in realtà la morte è la persuasione dell'assentarsi dell'eterno.
CONFUTAZIONE DELLA LIBERTA' E DELLA CONTINGENZA
L'esistenza della
libertà appartiene al significato della
contingenza dell'essente. Contingenza è l'unione della possibilità che l'essente accada con la possibilità che l'essente non accada, cioè il convenire di due predicati opposti allo stesso
soggetto. Già per questa via, il problema della libertà (e della sua variante umana, il
libero arbitrio) è risolto nella conclusione che si tratta di un significato
contraddittorio. Ma lo si può dimostrare anche tenendo conto che la possibilità non accaduta di un evento non appare quando l'evento stesso sia accaduto, e dunque non appare il continuare ad essere contingente da parte dell'evento. Naturalmente è impossibile che un evento originariamente contingente divenga necessario, perché la necessità è l'incontraddittorietà originaria di ciò che si manifesta.
DIO E IL SUPERDIO
Da quanto detto precedentemente appare chiaro come nel pensiero di Severino non ci sia posto per il
Dio comunemente inteso e da qui il contrasto insanabile con la Chiesa Cattolica.
Nel corso della
storia della filosofia, e nel pensiero della
Chiesa cattolica in particolare, l'affermazione dell'esistenza di qualcosa di immutabile (tra cui Dio in tutti i diversi modi nei quali filosofia e religione lo hanno concepito), è sempre stata fatta partendo dal presupposto che il divenire significhi la nascita dal nulla e il tornare nel nulla delle cose che in esso si presentano. Quest'affermazione è inoltre sempre avvenuta con l'intento di risolvere le varie contraddizioni che quel presupposto implica e di inventare un "rimedio" per l'"angoscia" che il pensiero dell'annienatamento provoca. Questo genere di immutabilità è quindi di segno diverso da quella che compete agli enti sulla base dell'impossibilità assoluta che qualcosa si annulli. Per questo motivo è impossibile che un esista un Dio come è stato pensato dalla religione e dalla filosofia. A maggior ragione è impossibile per Severino che esista il Dio del cristianesimo, che è tradizionalmente concepito come dotato della capacità di creare gli enti dal nulla e di mantenerli in esistenza grazie alla sua libera volontà (altrettanto libera potrebbe essere, per Dio, l'annichilimento - diverso dal concetto fisico di
annichilazione -, e cioè la volontà di cessare la durata della loro esistenza per farli ritornare nel nulla).
Essendo ogni ente eterno, non può esserci né creazione né annientamento, e quindi neanche un Dio comunemente inteso. Alla luce del Destino della verità, ogni ente, anche il più insignificante, acquista un significato inaudito. L'uomo si porta quindi radicalmente al di là del superuomo e della volontà di potenza: l'uomo è un superdio, ben più grande del Dio della tradizione religiosa.L'inconciliabilità della dottrina dell'
Essere in Severino e nel
Tomismo è stata sostenuta da
Cornelio Fabro.
La FONDAZIONE DELL'INTERSOGGETTIVITA'
Con il libro "La Gloria" (2001), Severino giunge, tra le altre cose, alla dimostrazione necessaria dell'esistenza degli "altri". Quando Cartesio infatti scopre che la carta vincente della scienza è la conferma delle ipotesi da parte dell' esperienza, e cioè da parte della presenza certa a me da parte delle cose, si apre il problema della fondazione dell'esistenza appunto di altre dimensioni che come la mia accolgono l'accadere del mondo, ma che a differenza della mia non sono da me "visibili". I fallimenti dei tentativi di soluzione a tale problema, a cominciare da quello di Cartesio, si determineranno essenzialmente per l'assenza del senso autentico dell' oltrepassamento dell'essente.
Nella "Gloria", Severino perviene alla fondazione del senso autentico dell' oltrepassamento dopo aver stabilito nelle opere precedenti che il divenire autentico non è il crearsi e l'annullarsi dell'essente, ma il comparire e lo sparire di ciò che è eterno. Ogni essente che appare è destinato ad essere oltrepassato, altrimenti diventa condizione indispensabile dell'apparire degli essenti e quindi originarietà che smentisce la sua "eventualità". Ma anche quella dimensione totale degli essenti che transita all'interno di un cerchio dell'apparire è un essente che deve essere oltrepassato, altrimenti si porrebbe come condizione stessa dell'apparire. Il suo oltrepassamento però non può essere effettuato nel cerchio della dimensione oltrepassata, altrimenti quell'essente deputato a oltrepassarla le apparterrebbe denunciandola contraddittoriamente come, insieme, oltrepassata e oltrepassante. Ma non può essere oltrepassata nemmeno nella Totalità infinita dell'essente perché essendo quest'ultima compiuta già da sempre, non potrebbe accogliere alcun altro essente. È necessario dunque che l'essente oltrepassante appartenga ad una dimensione finita e quindi ad un altro cerchio dell'apparire. Quindi l'oltrepassamento dell'attualità di un cerchio non avviene solo lungo la dimensione "verticale" del singolo cerchio, ma anche lungo quella "orizzontale" della costellazione di cerchi del destino che costituiscono il contenuto del Tutto infinito. L'oltrepassamento hegeliano invece conserva "idealmente", cioè astrattamente, ciò che oltrepassa, e non realmente, determinandone la distruzione. In contesto siffatto è fondata l'impossibilità dell'esistenza degli altri, perché l'altro che è il mio oltrepassante determinerebbe il mio superamento, e mi consegnerebbe ad una dimensione puramente ideale. Infatti nel sistema hegeliano l'esistenza degli altri significa l'esistenza di soggetti empirici, sensibili, che è quindi comunque interna all'esitenza produttiva dell'unico "Io".
LA GLORIA
Il nichilismo è come tutte le cose, destinato; ma è un evento, ed è impossibile per ogni evento perpetuare la sua manifestazione eternamente, perché solo alla struttura della verità compete - in quanto struttura e condizione stessa della manifestazione in generale – di apparire eternamente. Se un evento incominciasse ad apparire eternamente, diverrebbe una costante di ogni manifestazione, e cioè una condizione senza la quale nulla potrebbe più apparire; ma allora sarebbe dovuto apparire da sempre e non ad un certo momento come gli pertiene in quanto evento. Anche il nichilismo dunque ha nel suo destino l’evento del tramonto. Il suo tramonto coincide con l'evento costituito dalla Gloria (cioè la manifestazione) della verità - e del Tutto -, in cui la verità apparirà, dopo la morte, senza più essere contrastata dalla persuasione del nichilismo di poter isolare tra loro e dalla verità stessa i significati delle cose. Un evento, quello della Gloria, in cui è necessario che tramonti non solo il nichilismo, ma anche tutti i suoi “figli” – compresa la vita umana in quanto dimensione in cui ci si persuade di trasformare le cose per sopravvivere - traendole dal nulla e sospingendole nel nulla; e compresa la morte, in quanto conseguenza e compimento necessario della contraddizione in cui consiste la vita come ambito (fallito) della persuasione di avere potenza sulle cose. Nella Gloria sarà oltrepassata la dimensione umana e personale ed ognuno riconoscerà se stesso come una differenza dell'identità comune della manifestazione necessaria ed originaria del Tutto. Infatti, la Gloria è come detto manifestazione anche del Tutto; Tutto che nell'attuale contrasto con la verità prodotto dal nichilismo nella nostra conoscenza, non appare. Ad esempio non appaiono, oltre la mia, le altre dimensioni in cui gli eterni si manifestano e che con la mia costituiscono il contenuto infinito del Tutto. Oppure, non appaiono nella loro incontrovertibilità gli insiemi totali di tutte le strade che il mio "Io" ha già compiuto e le altre che compirà in eterno. Oppure ancora, essendo ogni significato "corrotto" dal nichilismo e rimandando per ciò stesso a significati "autentici", attualmente non appaiono questi ultimi. Al di fuori di un linguaggio più proprio ed adottando una terminologia compromessa ed inesatta, si può affermare come la Gloria non ponga limiti a ciò che in ambito nichilistico è noto come telepatia, conoscenza esatta del passato, visione profetica del futuro immutabile, onniscienza (per quel che compete all'infinito del Tutto di poter apparire nel finito del nostro essere). Nella Gloria non si è Dio, perché Dio crea ed annienta le cose anche e soprattutto quando ama; e dunque appartiene al regno dell’errore perché l'amore è volontà e la volontà è voler alterare il senso proprio ed eterno, cancellarne l'identità. Dio è quindi infinitamente meno della più umbratile tra le cose vere. Tutto è oltre Dio - e oltre la morte come risvolto necessario della vita.
La struttura originaria, Brescia, La Scuola, 1958. Nuova edizione, con modifiche e una Introduzione 1979, Milano, Adelphi, 1981
Per un rinnovamento nella interpretazione della filosofia fichtiana, Brescia, La Scuola, 1960
Studi di filosofia della prassi, Milano, Vita e pensiero, 1963; nuova ediz. ampliata, Milano, Adelphi, 1984
Ritornare a Parmenide, in «Rivista di filosofia neoscolastica», LVI [1964], n. 2, pp. 137-175; poi in Essenza del nichilismo, Brescia, Paideia, 1972, pp. 13-66; nuova edizione ampliata, Milano, Adelphi, 1982, pp. 19-61
Essenza del nichilismo. Saggi, Brescia, Paideia, 1972; seconda edizione ampliata, Milano, Adelphi, 1982
Gli abitatori del tempo. Cristianesimo, marxismo, tecnica, Roma, Armando, 1978; nuova edizione ampliata, ivi, 1981
Téchne. Le radici della violenza, Milano, Rusconi, 1979; seconda edizione, ivi, 1988; nuova edizione ampliata, Milano, Rizzoli, 2002
Legge e caso, Milano, Adelphi, 1979
Destino della necessità. Katà tò chreòn, Milano, Adelphi, 1980; nuova edizione, senza modifiche sostanziali, ivi, 1999
A Cesare e a Dio, Milano, Rizzoli, 1983; nuova ediz., ivi, 2007
La strada, Milano, Rizzoli, 1983; nuova ediz., ivi, 2008
La filosofia antica, Milano, Rizzoli, 1984; nuova ediz. ampliata, ivi, 2004
La filosofia moderna, Milano, Rizzoli, 1984; nuova ediz. ampliata, ivi, 2004
Il parricidio mancato, Milano, Adelphi, 1985
La filosofia contemporanea, Milano, Rizzoli, 1986; nuova ediz. ampliata, ivi, 2004
Traduzione e interpretazione dell’«Orestea» di Eschilo, Milano, Rizzoli, 1985
La tendenza fondamentale del nostro tempo, Milano, Adelphi, 1988; nuova ediz., ivi, 2008
Il giogo. Alle origini della ragione: Eschilo, Milano, Adelphi, 1989
La filosofia futura, Milano, Rizzoli, 1989; nuova ediz. ampliata, ivi, 2005
Il nulla e la poesia. Alla fine dell’età della tecnica: Leopardi, Milano, Rizzoli, 1990; nuova ediz., ivi, 2005
Filosofia. Lo sviluppo storico e le fonti, Firenze, Sansoni, 3 voll.
Oltre il linguaggio, Milano, Adelphi, 1992
La guerra, Milano, Rizzoli, 1992
La bilancia. Pensieri sul nostro tempo, Milano, Rizzoli, 1992
Il declino del capitalismo, Milano, Rizzoli, 1993; nuova ediz., ivi, 2007
Sortite. Piccoli scritti sui rimedi (e la gioia), Milano, Rizzoli, 1994
Pensieri sul Cristianesimo, Milano, Rizzoli, 1995; nuov ediz., ivi, 2010.
Tautótēs, Milano, Adelphi, 1995
La filosofia dai Greci al nostro tempo, Milano, Rizzoli, 1996
La follia dell'angelo, Milano, Rizzoli, 1997; nuova ediz., Milano, Mimesis, 2006
Cosa arcana e stupenda. L’Occidente e Leopardi, Milano, Rizzoli, 1998; nuova ediz., ivi, 2006
Il destino della tecnica, Milano, Rizzoli, 1998; nuova ediz., ivi, 2009
La buona fede, Milano, Rizzoli, 1999
L’anello del ritorno, Milano, Adelphi, 1999
Crisi della tradizione occidentale, Milano, Marinotti, 1999
La legna e la cenere. Discussioni sul significato dell'esistenza, Milano, Rizzoli, 2000
Il mio scontro con la Chiesa, Milano, Rizzoli, 2001
La Gloria, Milano, Adelphi, 2001
Oltre l’uomo e oltre Dio, Genova, il melangolo, 2002
Lezioni sulla politica, Milano, Marinotti, 2002
Tecnica e architettura, Milano, Cortina, 2003
Dall'Islam a Prometeo, Milano, Rizzoli, 2003
Fondamento della contraddizione, Milano, Adelphi, 2005
Nascere, e altri problemi della coscienza religiosa, Milano, Rizzoli, 2005
La natura dell'embrione, Milano, Rizzoli, 2005
Il muro di pietra. Sul tramonto della tradizione filosofica, Milano, Rizzoli, 2006
L'identità della follia. Lezioni veneziane, a cura di Giorgio Brianese, Giulio Goggi, Ines Testoni, Milano, Rizzoli, 2007
Oltrepassare, Milano, Adelphi, 2007
Immortalità e destino, Milano, Rizzoli, 2008
La buona fede, Milano, Rizzoli, 2008
L'etica del capitalismo, Milano, Albo Versorio, 2008
Verità, volontà, destino, con un saggio di M. Donà, Milano-Udine, Mimesis, 2008(con due CD audio).
L'identità del destino, Milano, Rizzoli, 2009
Il diverso come icona del male, Bollati Boringhieri, 2009
Democrazia, tecnica, capitalismo, Morcelliana, 2009
Discussioni intorno al senso della verità, Pisa, Edizioni ETS, 2009
La guerra e il mortale, a cura di L. Taddio, con un saggio di G. Brianese, Milano-Udine, Mimesis, 2010 (con due CD audio).
Macigni e spirito di gravità, Milano, Rizzoli, 2010.
L'intima mano, Milano, Adelphi, 2010.