domenica 6 febbraio 2011

EMANUELE SEVERINO - 1


Pubblichiamo il primo di una costante serie di interventi di Emanuele Severino, il cui pensiero è per noi costitutivo per l'avvento di una 'Filosofia Futura'.
Si richiama la sua biografia pubblicata il 17 gennaio 2011.

Un orizzonte etico per il nostro tempo
di Emanuele Severino

Si è generalmente propensi a pensare che le parole “etica” e “tecnologia” indichino due dimensioni
molto distanti tra loro, se non addirittura incompatibili. Ancora si fa fatica a scorgere che, all’opposto, tali dimensioni sono entrambe espressioni della stessa anima, e cioè che la nobiltà impotente dell’etica e la ruvida potenza della tecnica sono, all’opposto, due configurazioni dello stesso atteggiamento fondamentale.
Intendo chiarire brevemente questa affermazione, considerando come equivalenti le espressioni “tecnologia” e “tecnica” (senza con questo escludere che in vista di certe elaborazioni concettuali la differenza semantica tra le due espressioni non possa essere perduta di vista). Aggiungo che il discorso rimane circoscritto nell’ambito della civiltà occidentale.
Le parole “etica”, “tecnologia”, e la parola “logos” che insieme a “téchne” forma la parola “tecnologia”, sono greche, cioè parole del linguaggio e del pensiero che sta alla radice della nostra
civiltà.
Lungo la Storia dell’Occidente l’etica compare con un senso che è ben lontano dall’impotenza che compete a ciò che abbiamo chiamato “nobiltà impotente”. “Etica” è parola derivata da “éthos”, che
originariamente significa “luogo in cui si abita”, “dimora”. Il luogo in cui si abita e la dimora devono essere luoghi “sicuri”. Al di là di ogni espediente per renderli sicuri, l’uomo pensa che la sicurezza dell’abitare è possibile solo se, da ultimo, l’abitare stringe una alleanza con la potenza che gli abitatori ritengono suprema. Già nell’esistenza mitica la potenza suprema è il divino.
Con il pensiero greco la potenza suprema è il divino quale appare all’interno del vero e supremo sapere dell’uomo, la filosofia. L’uomo greco abita la polis, in quanto la vede come luogo sicuro che
è potente perché è alleato con la vera e suprema potenza del divino. Il divino appaga con la sua potenza le aspirazioni dell’uomo. Esse credono di poter essere accolte dal divino perché credono di
essere in accordo – alleate – con l’ordinamento divino del mondo.
Attraverso un processo la cui profondità e inevitabilità sfuggono ancora a gran parte della nostra cultura, il nostro tempo è giunto alla convinzione che la potenza suprema non è più il divino che appare nella verità del sapere filosofico, ma è la tecnica.
Tuttavia anche in questo caso l’idea della potenza suprema della tecnica è debitrice della propria esistenza al pensiero filosofico – in questo caso, al pensiero filosofico del nostro tempo. Oggi anche la gente pensa che a muovere le montagne non sia più la fede religiosa, ma la tecnica (che peraltro è essa stessa una forma di fede).
Se l’etica è l’abitare sicuro e potente, che è tale per l’alleanza che gli abitatori stabiliscono con ciò che essi ritengono la potenza suprema, oggi l’etica è l’alleanza dell’uomo con la tecnica. L’uomo etico è colui che si mantiene all’interno di questa alleanza. Come la parola “etica”, così la parola “virtù” è andata perdendo il proprio significato originario, che è, daccapo, “potenza”, “forza”. “Virtù” (i Latini dicono “virtus”, i Greci “areté”) è l’insieme delle disposizioni e qualità che è necessario possedere affinché l’abitare possa stare in alleanza con la potenza suprema, diventando così veramente potente. Il virtuoso è il veramente potente. La distruzione dell’alleanza con Dio, da parte dell’alleanza con la tecnica, passa attraverso il dominio del capitalismo, ma va anche oltre questo dominio. L’etica della tecnica passa attraverso l’etica del capitalismo, dove l’uomo (imprenditore o lavoratore) si allea all’incremento indefinito del profitto; ma oltrepassa l’etica del capitalismo – che è “etica”, appunto in quanto il capitalismo è stato ed è tuttora ritenuto la forma suprema di potenza. La tecnica, infatti, non è il capitalismo.
Oggi si consiglia all’operatore economico di essere “etico” e “virtuoso” perché solo in questo modo il profitto è più sicuramente garantito. Ma in questo modo non solo si trattiene l’etica al suo significato tradizionale, ma anche si altera questo significato. Infatti essere “etici” per incrementare la ricchezza è cosa diversa dall’arricchirsi per dar vita all’abitare dove si può stabilire l’alleanza con la suprema potenza del Dio – sì che l’“etica” (e la “virtù”) come mezzo per realizzare la ricchezza è cosa diversa dall’“etica” (e dalla “virtù”) come scopo della ricchezza; e a sua volta la ricchezza come mezzo per essere “etici” (e “virtuosi”) è cosa diversa dalla ricchezza come scopo dell’“etica” (e della “virtù”). Allearsi alla potenza suprema per arricchire è cosa diversa dall’arricchire per mettersi in condizione di condurre una “vita buona”, cioè di allearsi alla potenza suprema. La tecnica non è il capitalismo – anche se il capitalismo, ancora, intende servirsi (si illude di potersi servire) della tecnica come di un semplice mezzo per l’incremento del profitto.
Indichiamo almeno uno dei motivi per i quali deve essere affermata la differenza, e anzi l’opposizione, tra tecnica e capitalismo. Come potenza suprema, la tecnica intende ridurre sempre
più quella forma di impotenza che è la scarsità, cioè la penuria dei beni di consumo. Il capitalismo, all’opposto, vive solo se perpetua la scarsità a un livello mediano, dove i beni di consumo non sono a disposizione di tutti senza bisogno di compravendita, e nemmeno sono troppo rari e dunque economicamente inaccessibili.
Ciò significa che il capitalismo, servendosi della tecnica, si serve di un mezzo che mira a uno scopo opposto a quello che il capitalismo si propone. Si serve di un mezzo che ostacola il proprio scopo – lo scopo, appunto, del capitalismo.
La potenza suprema della tecnica non è infatti indirizzata a uno scopo escludente altri scopi, ma all’incremento indefinito della capacità di realizzare scopi, escludendo solo il loro carattere escludente; laddove lo scopo del capitalismo è escludente – non solo perché esclude che l’incremento del profitto sia sostituito da altri scopi, ma anche – come si è detto – perché intende impedire che il livello mediano della scarsità sia sostituito dall’abbondanza senza limiti. Ma la penuria dei beni di consumo è forse la forma più rilevante della penuria di ciò che l’uomo desidera.
Sì che, mentre il capitalismo perpetua la penuria delle merci per sopravvivere – e tende a trasformare ogni forma di penuria in penuria di merci – , la tecnica ha invece come scopo l’eliminazione di ogni forma di penuria, e dunque anche la penuria di ogni bene di consumo.
Lo scontro tra il capitalismo e il proprio strumento, cioè la tecnica, indica il declino cui il capitalismo è destinato. L’etica del capitalismo tramonta perché l’agire capitalistico finisce con l’assumere come scopo l’etica della tecnica, cioè l’aumento indefinito della capacità di realizzare scopi. Questo rovesciamento, dove lo scopo originario del capitalismo diventa il mezzo per il potenziamento della tecnica, è l’instaurarsi della nuova alleanza dell’uomo etico con la tecnica. Il rapporto tra capitalismo e tecnica è analogo a quello che tutte le grandi forze della tradizione dell’Occidente intendono instaurare con la tecnica: come il capitalismo, così anche l’umanesimo, il
cristianesimo, la democrazia, il comunismo, l’islamismo intendono servirsi della tecnica come di un
semplice strumento per realizzare i loro scopi. La conflittualità tra queste forze diverse – cioè tra queste diverse forme di etica – spinge inevitabilmente verso un esito dove il loro scopo diventa il potenziamento dello strumento tecnico con cui ognuna di esse vorrebbe realizzare il proprio scopo escludente. Tuttavia la tecnica riesce a essere la potenza suprema con cui l’etica della civiltà della tecnica riesce ad allearsi – cioè l’etica, alleandosi con la tecnica, riesce ad allearsi con la potenza suprema –, solo se la tecnica non è concepita con i parametri che sono propri della tecnica stessa e della scienza del nostro tempo.
La tecnica riesce a essere la potenza suprema solo al termine del processo, già in atto ma ancora lontano dal proprio compimento, che consiste nell’unione della tecnica al risultato essenziale del pensiero filosofico degli ultimi due secoli.
L’incremento indefinito della potenza della tecnica presuppone infatti, nella tecnica, la coscienza che non esistono e non possono esistere limiti assoluti al suo agire, e soprattutto che non può esistere quella forma della potenza che, nella tradizione dell’Occidente, è stata ritenuta la potenza
suprema e divina con cui l’uomo si è alleato, assicurando così il suo abitare la terra.
La tecnica può essere la potenza suprema cui l’uomo può allearsi ed essere l’uomo etico del presente, solo se appare che la forma tradizionale dell’etica è una impossibilità. Ma non è all’interno della tecnica e della scienza che questa impossibilità può essere portata alla luce: tale impossibilità è il risultato essenziale del pensiero filosofico del nostro tempo, che dunque non è una riflessione estrinseca sulla potenza, ma è la condizione necessaria affinché possa esistere la tecnica come la potenza attualmente suprema.
Nella misura in cui sta dinanzi agli occhi della tecnica, l’esistenza di un Dio e di un ordinamento divino e immutabile del mondo limita l’agire dell’uomo e dunque l’agire tecnico. Nella misura in cui
dinanzi a quegli occhi appare invece ciò che la filosofia del nostro tempo ha chiamato “morte di Dio”, la tecnica può spingersi oltre i limiti che le sono imposti dalla vita di Dio. Ma, anche qui, altro
è che essa veda quella morte con gli occhi di una semplice fede, di un semplice e indeterminato rifiuto della tradizione, che, come l’atteggiamento religioso, è a sua volta una fede; altro è che veda quella morte con gli occhi del sapere essenziale della filosofia del nostro tempo, che non è una fede, ma riesce a scorgere l’impossibilità di ogni ordinamento immutabile e divino e quindi di ogni etica in cui si stabilisca l’alleanza con esso.
Il discorso che abbiamo sviluppato non esprime un progetto, un desiderio, una volontà, un suggerimento, un consiglio. Nel suo significato più profondo – che sta al di là della stessa dimensione in cui si muove la filosofia contemporanea – la filosofia non dice che cosa i popoli devono fare e volere, ma che cosa sono destinati a fare e a volere. In relazione alla situazione storica presente, dice a quale potenza suprema i popoli credono sempre di più di doversi alleare, ossia dice che il Pianeta è destinato alla dominazione della tecnica, intesa nel senso concreto a cui
abbiamo accennato, cioè come unione tra apparato scientifico-tecnologico e risultato essenziale del pensiero filosofico del nostro tempo – un risultato essenziale, peraltro che a sua volta attende ancora di mostrare in piena luce la propria inevitabilità.
Ma, soprattutto, il discorso che abbiamo sviluppato non intende affermare che l’unione di tecnica e
pensiero filosofico del nostro tempo sia l’ultima parola. Tale unione sta certamente prendendo la parola e la sua voce è destinata a soverchiare a lungo le altre. Ma in questa sede si deve lasciare aperta la questione decisiva, quella in cui ci si chiede che cosa sia e quale sia “l’ultima parola”.

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