domenica 24 aprile 2016







STORIA DEL CINEMA A MILANO
Crimini e delitti sui Navigli
Giorgio Scerbanenco, il Simenon della metropoli in nero
 

 

È alto, magro, dall’aria mite e viene dall’est. Si chiama Giorgio Scerbanenco, ma il suo vero nome è Vladimir Scerbanenko, nato il 28 luglio 1911 a Kiev in Ucraina da madre romana e da padre professore di latino e greco ucciso durante la Rivoluzione d’ottobre dai bolscevici. Approdato prima a Roma e poi nella metropoli lombarda, il giovane è nato per fare lo scrittore pur essendo autodidatta. Dotato di una fertile fantasia e velocissimo nello scrivere (anche dieci cartelle all’ora senza una correzione), nel ’34 si vede pubblicare da Rizzoli la sua prima novella scoperto da Cesare Zavattini che ne intuisce il talento. Nella casa editrice fa presto carriera come giornalista diventando direttore dei periodici “Novella” e “Bella”. A lui si deve l’invenzione della “posta del cuore”, firmata con il nome di Adrian e di Valentino. Prolifico e versatile scrive racconti western, di fantascienza e di letteratura rosa. Nel ’36‐’37 cura la rubrica “Gangsters e Gmen” su “Il secolo illustrato” con lo pseudonimo di Denny Sher, storie poliziesche ambientate nelle città americane. Nel ’39 “Scerba” passa alla Mondadori periodici, collaborando alla Gazzetta del Popolo, al Corriere della sera, al Resto del Carlino e pubblicando a puntate numerosi romanzi d’appendice molto seguiti dai lettori. Nel ’43, con l’avvento della Repubblica Sociale di Salò, fugge in Svizzera dove continua la sua attività giornalistica presso alcune testate locali e rientra in Italia solo a guerra finita. Negli anni Cinquanta grazie alla sua esperienza giovanile di volontario notturno sulle ambulanze della Croce Rossa tra ubriachi, feriti, disadattati di ogni tipo si dedica al genere noir con la sua scrittura elegante e chiara in grado di cogliere le atmosfere metropolitane di una Milano immersa nel boom economico. Una realtà apparentemente florida, ma che nasconde invece profondi disagi sociali e una nuova spietata criminalità cresciuta nei vecchi quartieri di periferia. Inventa il personaggio di Duca Lamberti, ex medico radiato dall’albo per avere praticato una eutanasia a una vecchia signora malata gravemente che spesso, grazie al suo fine intuito investigativo, collabora con la polizia e con il commissario Luigi Càrrua futuro questore della città. Nasce la quadrilogia di “Venere privata”, “Traditori tutti”, “I ragazzi del massacro”, “I milanesi ammazzano il sabato” che ottiene un successo strepitoso in Italia e anche all’ estero.
In particolare “Traditori tutti” vince il prestigioso premio francese “Grand prix de littérature policìen”. Lo scrittore nel frattempo si è sposato con Nunzia Monanni e ha due figlie. Schivo, timido e riservato, non frequenta gli ambienti più in vista del giornalismo e dell’editoria, ma si limita a una vita semplice fatta di passeggiate per Milano e in particolare in via Manzoni. Dal 1965 trasferisce la residenza a Lignano Sabbiadoro, dove lavora con serenità ai suoi romanzi al caffè sulla spiaggia, battendo i tasti della sua mitica lettera 22 di marca tedesca. La figlia Cecilia donerà nel 2011 il materiale dell’archivio di suo padre alla biblioteca comunale locale. Il cinema non poteva ignorare le sue opere. Il 30 dicembre 1969 esce nelle sale “I ragazzi del massacro” di Fernando Di Leo liberamente dall’omonimo noir, con Pier Paolo Capponi nei panni del commissario Luca Lamberti (nome sbagliato che appare scritto sulla scrivania del funzionario) incaricato di indagare sullo stupro e sul delitto commesso da alcuni studenti di una scuola serale nei confronti di un’insegnante. L’anno successivo tocca al francese Yves Boisset sfruttare la popolarità d’oltralpe dello scrittore con “Il caso Venere privata”. Il bravo Bruno Cremer è Duca Lamberti alle prese con un ragazzo alcolizzato e depresso a causa del suicidio di una giovane, una Raffaella Carrà quasi irriconoscibile con indosso una parrucca nera e una minigonna arancione, coinvolta in un giro di pornografia. In una scena vediamo l’attore francese in automobile mentre spia un sospettato davanti al cinema Excelsior in Corso Vittorio Emanuele le cui locandine annunciano la programmazione di “Metti una sera a cena”. Dopo pochi giorni un'altra pellicola è nei cinema italiani. Si tratta di “La morte risale a ieri sera” tratta da “I milanesi ammazzano il sabato”, per la regia di Duccio Tessari e la fotografia di Lamberto Caimi con location milanesi classiche, dalla Questura di via
Fatebenefratelli alla Chiesa della Grazie e al Palazzo delle Stelline in Corso Magenta. Il commissario Lamberti (impersonato da Frank Wolff) affiancato dal suo vice, il brigadiere Mascaranti (Gabriele Tinti) cui rimprovera continuamente la lunghezza dei suoi capelli, deve rintracciare Donatella, una ragazza minorata rapita da una banda di balordi per avviarla sul viale del vizio. Il padre Raf Vallone, vedovo e disperato si metterà a indagare per suo conto. Nel ’72 è la volta “Milano calibro 9” dal racconto “Stazione Centrale”, un cult diretto ancora da Fernando Di Leo con un memorabile Gastone Moschin nel ruolo di Ugo Piazza, un duro della malavita milanese appena uscito da San Vittore e accusato di aver nascosto il malloppo consistente in 300.000 dollari. Pestato da un malavitoso siciliano con la faccia di Mario Adorf e da due suoi complici, Piazza scatena una lotta senza esclusione di colpi con vari morti ammazzati e scene di violenze crudelissime. Nel film, amatissimo da Quentin Tarantino (riprodurrà la scena del taglio di un orecchio nel suo “Le iene”), i due poliziotti incaricati delle indagini sono il commissario (Frank Wolff,) classico funzionario politicamente di destra e il suo vice Mercuri (Luigi Pistilli) di sinistra convinto che la vera delinquenza è da ricercarsi nell’alta borghesia impunita e pronta a portare i suoi soldi all’estero. Sempre nel ‘72, Di Leo firma “La mala ordina” dal racconto “Milano by Calibro 9” ancora con Mario Adorf nel ruolo di Luca Canali, un piccolo pappone cui hanno ucciso la moglie Sylva Koscina e la figlia che vuole vendicarsi dei colpevoli. Nel 1975 Luigi Cozzi, ispirandosi all’inizio del libro “Al mare con la ragazza”, gira “L’assassino è costretto ad uccidere ancora”, storia di un architetto impegnato nel progettare un uxoricidio servendosi di un killer da lui ricattato. Infine nel ’76 dal racconto “Bravi ragazzi bang bang”  esce  “Liberi  armati, pericolosi” di Romolo Guerrieri ambientato tra i giovani della Milano bene balordi e annoiati con  Tomas  Milian,  un commissario tutto d’un pezzo e l’esordiente  Diego
Abatantuono nel ruolo di Lucio, un giovanotto viziato e corrotto. Scerba negli ultimi anni di vita riceve molte
proposte per sceneggiature e soggetti cinematografici ai quali vorrebbe dedicarsi con passione pensando perfino di trasferirsi a Roma. Purtroppo il Simenon italiano, capo scuola degli scrittori noir milanesi Andrea G. Pinketts, Piero Colaprico, Gianni Biondillo, Adele Marini, Renato Oliveri, Sandrone Dazieri e molti altri, si ammala seriamente e dopo ottantadue romanzi e mille racconti muore a Milano d’infarto a soli cinquantasette anni il 27 ottobre ’69, due mesi prima della strage di Piazza Fontana. “L’Italia – come ricorda Marco Cicala ‐ stava imboccando un tunnel di cui lo scrittore aveva già annusato l’odore acre”.

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