MIO INTERVENTO CRITICO
Il Da Porto, nel tardo Rinascimento,
precorre di quasi 200 anni il Romanticismo e, tuttavia, egli è considerato
ingiustamente, a mio e nostro avviso, un autore minore. Rispetto alla fama di
un Petrarca o di un Dante, quasi certamente lo è, non abbiamo che tre soli
lavori del Porto e di altri si ipotizza distrutti. Ma rispetto al valore
estetico della sua opera, questa distanza non è poi così grande.
Nel Da Porto si misurano quindi aspetti salienti del
Romanticismo anzitempo, ma anche, se vogliamo, del più tardi Schopehnauer. Straordinaria è la
comunanza con la razionalizzazione dell’orrore tipica dello Sturm und Grand
(Tempesta e Impeto). Lo rileviamo in particolare in alcuni accenni macabri
sulla fine della Novella ‘E, con l'aita del compagno prestamente aperta la sepoltura,
vide la Giulietta, la quale tutta scapigliata e dolente s'era in sedere levata,
e il quasi morto amante nel suo grembo recato s'avea.’ ‘se non che io conosco voi, frate Lorenzo, uomo di buona
condizione, io direi che a spogliare gli morti foste qui venuti. Gli frati,
spento il lume, risposero: quel che noi facciamo non saperai, che a te di
saperlo non appartiene. Rispose colui: vero è; ma dirollo al Signore. Al quale
frate Lorenzo, per disperazione fatto sicuro, soggiunse: di' a tua posta; e,
serrata la sepoltura, col compagno entrò nella chiesa.’
In generale si deve dire che nel Romanticismo e qui nel Da
Porto precursore, è insita la concezione della autodeterminazione del singolo
individuo, per cui ‘homo faber ipsius
fortunae’ (l’uomo è artefice della propria sorte ). Da cui non più Dio al
centro o sullo sfondo del racconto, come nella concezione tolemaica, ma l’uomo
con i sui limiti, il suo dolore e la sua felicità. Questi opposti sentimenti
trovano quindi nell’amore il punto focale. E’ l’amore che, unicamente, può dare
senso o non-senso alla vita.
La sua generale accezione platonica non riesce peraltro a
nascondere un reale ed impetuoso erotismo - e la cosa si nota tra le righe. E
proprio perché si impone Eros, l’eros per eccellenza, ecco che immediatamente
abbiamo il legame con Thanatos.
L’idea platonica dell’amore, fondamentale in Dante e in
Petrarca, è in sintonia con le idee eterne ed assolute, dove la morte non è
presente.
Eros invece, come appena detto, nutre in sé la morte, è
indissolubile. E morte ed eros sono elementi pervasivi nella narrazione di
amori tragici. In cima ai quali sta la storia di Giulietta e Romeo. La passione che scuote i due amanti è intensa
ed incontrollabile. Vuole essere eterna. Come può pretendere la razionalità
platonica. Ma proprio perché è amore
passionale, il tragico Destino è nelle sue corde. Qui c’è da giurare che il Da
Porto avesse conoscenza di tragici avvenimenti accaduti a Verona. In particolare
pare essersi ispirato alla vicenda di re Alboino e Rosmunda. Ma non importa
quali siano le cause (nel nostro caso la feroce ostilità tra le famiglie
Cappelletti e Montecchi, che fa pensare alla lotta che ha contrassegnato i
secoli precedenti tra Guelfi e Ghibellini): gli eventi non possono che
precipitare nel dramma stante il loro inizio. Particolare questo, ovvero che le
cose cominciano bene e finiscono male, che ricorre anche in altri scritti del
Da Porto, esattamente al contrario di Dante – e il sommo poeta è importante per
Da Porto, perché ne prende i cognomi come abbiamo visto nel canto VI del
Purgatorio. Ecco dunque la folgorazione amorosa che non lascia spazio ad alcuna
ragione o ragionevolezza. Dove ciò che si libera è l’Es dei due con le sue
pulsioni incontrollabili. Tutto avviene in breve tempo. Perchè tanto più
i sentimenti sono potenti ed irrefrenabili tanto più sono rapidi e precipitosi gli eventi che li
seguono.
Giulietta e Romeo si innamorano e in pochi giorni si
sposano, nella novella, cioè nella ideazione letteraria del Da Porto. La
soluzione che hanno voluto, si compie. Il ciò che è, è e rimane. Quantunque
tutto pare convenire secondo Necessità, non si può non rilevare una tensione
verso la Libertà. Certo, una libertà che altera la realtà. E che metafisicamente
scaturisce dalla imprevedibilità. L’imprevedibile che mette in discussione il
compiuto. Giulietta, per volontà del padre, deve andare sposa al nobile
Lodrone. Le vie intraprese per evitare il triste epilogo, non eviteranno il
tragico seguito..
La storia è di grande bellezza. Cominciando dalla bellezza
dei due protagonisti. Di Romeo, il Da
Porto dice che ‘Era
costui giovane molto, bellissimo, grande della persona, leggiadro e accostumato
assai’ e
di Giulietta ‘la quale di soprannaturale bellezza, e baldanzosa
e leggiadrissima era.’ Se si racconta l’Amore nella sua essenza, l’Amore è
bellezza, e fa più belli gli amanti che vi si votano. Una bellezza che
necessariamente immaginiamo accompagnata da Felicità e Fortuna. Perché così,
intimamente, ognuno di noi vorrebbe che sia. Ma la bellezza è ancor prima
legata alla Verità e la verità dice che l’uomo è un ‘essere per la morte’.
Allora sta nella verità che l’amore immensamente grande tra
Giulietta e Romeo non possa che finire tragicamente, perché innaturale. Proprio
quando l’amore non conosce limiti, è sovrabbondante, alimentando la gelosia,
ecco che allora si trasforma in una prigione e il suo Destino è segnato.
Leggiamo il Da Porto: ‘lo
star molto nella prigion d'Amore si disdica, sì tristi son quasi tutti i fini,
ai quali egli ci conduce, ch'è un pericolo il seguirlo’
Il pericolo che vive l’amore lo avvertiamo ad ogni passo
della Novella, quasi che i due amanti fossero una preda. In parte prevedibile
come è quello che scaturisce dal conflitto delle due famiglie, in parte imprevedibile come è l’evolversi
della situazione che porterà i due amanti al suicidio, non voluto, ma
scatenante dalla forza dell’inconscio.
Soprattutto l’imprevedibilità contraddistingue il pericolo e
di qui l’ansia, l’angoscia che investono l’attesa del futuro. Ansia e angoscia
che raggiungono l’apice nelle storie tragiche come è questa di Giulietta e
Romeo. Nessuna scienza, nessun calcolo applicati al presente sono in grado di
prefigurare, se non in minima parte, ciò che avverrà nel futuro.
E così le dolenti note di Giulietta: ‘che farò io senza di voi? di più vivere non
mi dà il cuore, meglio fora ch'io con voi, ovunque ve ne andaste, mi venissi.’
E ancora ‘O misera me! di cui prima mi dolerò? della
morte, o di me stessa?’. Ed ancora lo struggersi di Romeo: ‘Come
senza di voi veggo, parlo, e vivo? O misera mia donna, ove sei d'Amore
condotta, il quale vuole che poco spazio due tristi amanti e spinga e alberghi!
Oimè! questo non mi promise la speranza, e quel disio che del tuo amore prima
mi accesero. O sventurata mia vita, a che più ti reggi?’
Nel rappresentare l’angoscia il Da Porto raggiunge il
livello delle grandi tragedie greche (probabilmente il suo intento era di
misurarsi con quelle) e in questo senso ispira più tardi Shakespeare nel suo
‘Romeo e Giulietta’. Ma se possibile l’angoscia è ancora più profonda, perché
nella narrazione del Da Porto non vi è quella valenza catarchica presente in
Eschilo o Sofocle.
Diversamente, la novella si chiude con una invettiva contro
le donne : ‘O fedel pietà, che nelle donne amicamente
regnavi, ove ora se' ita? In qual petto oggi t'alberghi? Qual donna sarebbe al
presente, come la fedel Giulietta fece, sopra il suo amante morta? Quando fie
mai, che di questa il bel nome dalle più pronte lingue celebrato non sia? Quante ne
sariano ora, che non prima l'amante morto veduto arebbono, che trovarne un
altro si ariano pensato, non che elle gli fossero morte allato?’ Nella volontà di
liberarsi dalle catene (dell’amore) troviamo un impeto libertario, che è uno
dei segni del ‘500.
Il dolore non ha alcun sollievo. Non pare purificarsi
attraverso la Poesia. Non trova rassegnazione una volta che esso si sia
compiutamente dispiegato. La ferita è sempre aperta e il tardivo pentimento
delle famiglie dei Cappelletti e Montecchi ‘e sopra i loro morti figliuoli piagnendo,
da doppia pietà vinti (avvegnachè inimici fussero) s'abbracciorono, in modo che
la lunga nimistà tra essi e tra le loro case stata, e che nè prieghi di amici,
nè minaccie del Signore, nè danni ricevuti, nè tempo avea potuto estinguere,
per la misera e pietosa morte di questi amanti ebbe fine’ non la chiude.
Dolore straziante anche perché la tragedia è in fin dei
conti causata da un banale contrattempo, e questo contrattampo fa una stora
simile all’oggi, dove, il ritardo di e per un appuntamento è ormai palese. La
lettera di Giulietta che spiegava la sua apparente morte non arriva infatti a
Romeo: ‘Avea frate Lorenzo,
il quale per alcuna bisogna del monasterio poco fuori della città era andato,
la lettera della Giulietta, che a Romeo dovea mandare, data ad un frate che a
Mantova andava; il quale giunto nella città, ed essendo due o tre volte alla
casa di Romeo stato, nè per sua gran sciagura trovatolo mai in casa, e non
volendo la lettera ad altri che a lui proprio dare, ancora in mano l'aveva’
Ma occorre dire che è proprio la casualità a rendere viva
l’angoscia. Quando, là dove avrebbe dovuto albergare solo la Felicità ‘Dall'altro canto la giovane, poco ad altro
che a lui solo pensando, dopo molti sospiri tra se stimò lei dovere sempre
felice essere, se costui per isposo avere potesse’
per uno scherzo del
destino sopravviene il dolore. Allora ci troviamo davanti
ad una realtà in cui è arduo trovare un senso. Non ci si capacita infatti della
irrazionalità con cui si sono susseguiti gli eventi. Fino a pensare alla
volontà di un Dio capriccioso e vendicativo. Pure Dio non ha luogo nella Storia. Lo
si cita solo come testimone: ‘acciocché voi insieme con Iddio a quello,
che d'amore astretta vengo a fare, testimonio siate’
.
Tutto è ricondotto alla condizione umana. Tutto è umano,
troppo umano. Lo è Eros; lo è Thanatos quale ineluttabile compimento di Eros.
Certo la passione amorosa è un accidente dell’anima, ma tale passione origina
pur sempre dalla sensualità e carnalità, dalla visione dell’occhio e dai
relativi desideri. Così leggiamo: ‘o bocca, da me mille volte sì dolcemente
baciata! o bel petto, che il mio cuore in tanta letizia albergasti’. E ancora: ‘Costui, preso alquanto di ardire, seguì: se
io a voi con la mia mano la vostra riscaldo, voi co' begli occhi il mio core
accendete ‘. D’altra parte solo quando l’Amore è
Eros (e non Agape o Filia), è possibile l’accadimento tragico.
E’ questo che racconta la ‘Historia novellamente ritrovata di due
amanti’ sulle
righe. Dove gli accenti drammatici sono invero temperati da una soffusa e
struggente tristezza. Quella tristezza
che corrisponde alla condizione esistenziale del Da Porto. Ma che insieme
corrisponde allo spirito della storia e ne determina il suo valore poetico, la
sua denotazione di senso.
Sin qui
l’analisi testuale dell’opera letteraria. Ma vi sono importanti annotazioni da
fare, che non procedono dalla lettura della Novella. La Novella il Da Porto la
dedica alla cugina Lucina Savorgnana. D’impulso si sarebbe portati a
considerare che Lucina sia la ‘Giulietta’ di Luigi Da Porto. Sia l’amore della
sua vita. Se amore è stato, ed è stato, secondo me, però amore passeggero.
Dalla dedica si evince chiaramente che la storia d’amore che il Da Porto invita
a leggere, è estranea ad una possibile passione amorosa tra i due, e chi l’ha
letto diversamente non ha capito nulla. Il Da Porto si rivolge a Lucina non
come fosse la sua amata, ma richiamando
il vincolo di sangue e la dolce amicizia ‘come anco per lo stretto vincolo di consanguinitade e dolce amistà, che
tra la persona vostra e chi la descrive si ritrova’, il chè è
ben diverso. Fondamentale
è rilevare ancora che tratto distintivo della Novella è l’allegoria, molto in
uso ai tempi del Da Porto e a quelli appena precedenti (Dante docet).
Attraverso l’allegoria traspare poi qualcosa di arcano, come è ad esempio il
riferimento alla Pasqua di maggio, che può avvenire solo in ambiente ortodosso
o della chiesa di Costantinopoli ed altre parentesi che il nostro libro
svilupperà. Questi ed altri aspetti conducono infine a ritenere che il Da Porto
fosse legato ad ambienti della Massoneria o dei pre-Rosacroce o altra fraterna.
Ma, fors’anche alla celebrazione della famiglia Savorgnan alla ricerca, come
dice l’amico Vanni De Conti, dell’indipendenza da Venezia e l’Impero per una
libertà tutta friulana in quella atavica ricerca di una identità, di una
libertà e di una patria propria, perché se vogliamo basta scorrere la storia
dei Savorgnan dal primo Federico (gastaldo e capitano di Udine nel 1200, a
Tristano nel 1400) e poi oltre, per capire che c’era un qualche disegno della
famiglia e probabilmente a grandi linee pianificato
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