mercoledì 2 marzo 2011

COMPRENSIONE DELL'ESSERE - 1


A partire da oggi pubblico il mio saggio 'COMPRENSIONE DELL'ESSERE'. Lo pubblico dividendolo in brani che abbiano più o meno la stessa lunghezza.


AVVERTENZA

Ad un lettore attento ed informato non sfuggirà che le mie annotazioni sono in larga misura ispirate dalla filosofia di Emanuele Severino. Se il cuore della filosofia è la ricerca della verità, allora Emanuele Severino, se non il solo, è certamente tra i pochi che continuano a sostenere la centralità della filosofia rispetto ad ogni altro sapere specialistico, a evidenziare che unicamente dalla filosofia può venire una critica o una messa in discussione della filosofia stessa. Ed è ciò che Severino, da la ‘Struttura originaria’ sino a ‘La Gloria’ ed ‘ Oltrepassare’ passando per ‘Essenza del Nichilismo’ e ‘Destino della Necessità’ (per citare solo alcuni dei testi più significativi) fa. Pur evidenziando la grandezza della filosofia nel corso della sua storia, riesce a scorgere in questa grandezza un errore decisivo che ha segnato tutta la cultura occidentale ed ormai del mondo intero: la fede nel divenire. Egli vi contrappone l’eternità di ogni essente, dal più effimero al più elevato. L’eternità del tutto è nel destino della necessità. In questo nesso indissolubile ed incontrovertibile sta la verità, che parla all’uomo della sua Gloria e della sua Gioia.
Fatta questa doverosa avvertenza, va anche detto che ‘Comprensione dell’essere’ non è un trattato critico del pensiero di Severino, ma ha una sua ‘autonomia originale’ , volendo essere un contributo modesto e tuttavia seriamente impegnato a seguire la strada che porti ad una ‘Filosofia Futura’.



“Quando ai popoli apparisse l'eternità di ogni cosa, incomincerebbe ad apparire un mondo inaudito di abitare la Terra. E se l'uomo è volontà, ossia volontà che qualcosa divenga altro, il tramonto del divenir altro sarebbe il tramonto dell'uomo, ossia sarebbe l'apparire dell'oltre l'uomo”
EMANUELE SEVERINO da 'Nascere'




L'ESSERE

Dai primordi della filosofia, prioritaria e fondamentale è sempre stata l’interrogazione sull’essere.
D’altro canto si deve dire che la filosofia è essenzialmente filosofia dell’essere.
Ma nonostante che il problema sia stato sviscerato in tutti i suoi aspetti e da ogni lato, esso rimane tuttora insoluto.
E’ che l’essere sfugge a qualsiasi tentativo di oggettivazione. Esso non è percepito direttamente ma solo attraverso la presenza dell’ente, del ciò che è, della determinazione del qualcosa. Avviene che il fondamento esistenziale che rende possibile la determinazione del qualcosa rimane nascosto alla vista di quell’ente particolare (perché l’unico dotato di pensiero) che è l’uomo. Da parte dell’uomo c’è insomma visione della molteplicità delle cose che appaiono ma non della causa che rende possibile il loro apparire.
La luce che avvolge ogni singola esistenza e che è all’origine del proprio apparire si nega dunque alla percezione sensoriale dell’uomo. Questa luce che la ragione intuisce essere lo sfondo necessario per l’apparire di ogni cosa, non appare.
Una differenza ontologica che è carica di profonde conseguenze. La prima delle quali induce a pensare l’essere come pura entità metafisica, che è cioè al di là ed altro rispetto alla molteplicità degli enti. Di qui alla confusione dell’essere con il nulla il passo è breve così come lunga è la strada che contrassegna la storia della filosofia come storia del nichilismo.
Non che in tutti i grandi pensatori non sia ben chiara la netta opposizione tra l’essere ed il nulla. Il nichilismo non arriva mai alla negazione del reale. Ciò che rende possibile il nichilismo è la speculazione di segno negativo su ciò che, non apparendo, costituisce tuttavia la radice di tutta la realtà. Che esista una radice comune per ogni manifestazione del reale è parimenti compreso da tutti i grandi filosofi, per i quali ogni cosa non può originarsi da sé come fosse il risultato del tocco di una bacchetta magica, ma è in relazione alla universalità di ogni altra cosa, presente, passata e futura. Tuttavia l’impossibilità di avere esperienza dell’essere come la si ha di ogni ente particolare porta alla sua definizione come non-ente. Il ni-ente e l’essere, nonostante ogni ragione e volontà contraria, diventano la stessa cosa. Ed è questa sensazione, più profonda dell’inconscio studiato dalla psicoanalisi, che investe la vita del mondo che viviamo. E che è all’origine dello stato di conflitto permanente, dell’angoscia, della paura, del dolore. Della follia.
C’è evidentemente un errore che precede la natura stessa del pensiero umano, iscrivendosi nel destino stesso dell’essere. Quel destino che informa il tempo dell’uomo (la sua storia come la sua preistoria) portando con sé il segno di una verità che non può o non vuole mostrarsi nella sua totalità, nascondendosi invece dietro l’oblio di ciò che la costituisce, ovvero dell’essere.
D’altro canto il senso che conferiamo all’essere non appartiene ad uno dei cinque sensi attraverso i quali noi possiamo percepire la realtà e che costituiscono i mezzi attraverso i quali si dà la conoscenza. E che rappresentano altresì l’a-priori necessario perché si possa dare forma alle stesse idee, che proprio perché superano la materialità soggetta al riconoscimento dei sensi, dai sensi trovano il proprio alimento per la produzione di ciò che è astratto. L’astrazione intellettiva per essere oggetto di conoscenza non può dunque porsi prescindendo dalla realtà sensoriale o addirittura prefigurando il proprio risultato a partire dal cosciente disconoscimento dell'apporto dei sensi. Una siffatta formulazione metafisica riuscirà al meglio a sconfinare in un vuoto misticismo che ha come sua caratteristica quella di non avere alcun rapporto con nessun oggetto o forma eidetica. Per il misticismo il tutto è il nulla ed il nulla è il tutto. Calandosi il pensiero in questa prospettiva, è chiaro che le idee sull’essere che sono andate via via prospettandosi non sono riuscite a dire nulla sulla realtà dell’essere stesso. Hanno prodotto anzi intorno al problema dell’essere un alone di mistero che non ha ragione alcuna di persistere. Ma che ha contribuito largamente a determinare l’errore fondamentale di una identità tra l’essere ed il nulla che è la causa principale della vita alienata.
Dunque la via del misticismo non solo non porta da nessuna parte, ma è carica di conseguenze nefaste al fine di un corretto uso della ragione. Per il quale uso resta interamente valido quanto affermato da Kant.
Ponendo chiari limiti alla ragione pura ed alla ragione pratica, si evitano certamente fughe in avanti del pensiero in una regione metafisica dove non esisterebbero confini per ogni tipo di fantasia o credenza.
Questi stessi limiti determinerebbero però, all’opposto, l’impossibilità di dare ragione ed espressione alla illimitatezza della realtà dell’essere. Una realtà che continua così a rimanere nascosta, questa volta a causa della presunta inconoscibilità della cosa in sé.
(continua)
Alberto Re

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